Cappuccio e Cornetto

Cappuccio e Cornetto

4/29/2015

I figli dei divorziati


Non ce la faccio. Non riesco. Leggo questo articolo e mi si gonfia la vena, non ce la posso fare.
Ma come si fa, dico io? Ma veramente siamo ancora a questo punto? Sono perplessa.
Perplessa dal titolo, che capisco che tu giornalista debba far arrivare lettori sulla pagina che per inciso è anche un oggetto di campagne pubblicitarie e va bene, però santa pace, un po’ meno sensazionalismo.
Perplessa dal fatto che qualcuno abbia commissionato e poi eseguito una ricerca del genere.
Mi chiedo, scientificamente, qual è il benchmark di riferimento? I figli di genitori sposati? Sposati in Chiesa? In Comune? I figli di genitori sposati e felici, mediamente? O sono inclusi anche quelli che si tirano i piatti, quelli che non si lasciano per i figli ma non si parlano? Quelli che hanno l’amante?
Ma poi qual è l’obiettivo? Disincentivare i divorzi perché se no le figlie femmine hanno disturbi psicosomatici? E di che genere? E come fai a sapere che è legato al divorzio e non alla compagna di banco che le bullizza, per dirne una?
Parlo alla luce della mia esperienza. Figlia di divorziati, sposata in Chiesa, con due figlie femmine.
Penso che il fatto che io sia felice con mio marito aiuti le mie figlie? Si, assolutamente si.
Penso che il fatto che loro ci vedano come coppia sia un valore educativo? Si, certo.
Perché ci amiamo, ci rispettiamo, ci aiutiamo, litighiamo, ci baciamo e ridiamo insieme.
Se una di queste cose dovesse venire a mancare, penso sarebbe un danno per le mie figlie? Si, enorme.
Penso che vedere me o il loro padre arrabbiati, tesi, freddi e distanti sarebbe un danno per loro? Si, irreparabile.
Penso che il divorzio sia un trauma? Si, certo. Anche il passaggio alla scuola media. Anche la prima delusione vera in amore e in amicizia. Anche la morte dei nonni, o il trasloco in altre città, o tutti i miliardi di difficoltà che la vita ci mette di fronte, senza guardare in faccia l’età e senza contare che spesso si trasformano in impareggiabili trampolini di crescita.
Quindi credo che crescere con dei genitori abbastanza coraggiosi e coerenti da cercare la propria felicità, fermo restando l’amore, l’attenzione, la cura costante fisica emotiva ed economica dei figli, sia un valore in ogni caso: sia che la propria felicità sia nella coppia che ha generato quei figli, sia che sia altrove.
I miei genitori si sono lasciati quando avevo due anni. Potrei dire che la mia ansia di abbandono sia dovuto a quello, certo. Ma forse la mia insicurezza deriva dal carattere, mio e loro, non dalla convivenza mancata. Ché abbandonata non sono mai stata, né dall’uno né dall’altro. E poi, importa davvero? Ho 37 anni. La vita che vivo l’ho scelta io. Grazie a loro, ma anche in contrapposizione. La vita che vivo mi piace, quindi sono in pace con il loro divorzio e con quelle scelte di vita che hanno fatto e che hanno avuto una ripercussione sulla mia.
Le mie figlie saranno perfettamente felici, grazie al fatto che crescono con genitori sposati? Lo vorrei tantissimo ma temo di no. Credo che si lamenteranno per tantissime cose della loro famiglia, ci daranno un sacco di colpe probabilmente, e il mio unico augurio è che prima o poi riescano a liberarsi dal peso del “per colpa di”, si godano le loro radici e si scelgano la strada che le porterà alla loro personalissima felicità.

La mia speranza è che nel frattempo si smetta di scrivere frasi fuorvianti che implicano giudizi di valore.
Che tu sia figlio di divorziati, di gay, di atei, di sposati in Chiesa o con rito ebraico, che i tuoi genitori si amino o litighino o non si parlino più, che ti abbiano amato o trascurato, che ti abbiano voluto o che tu sia capitato, fidati, ad un certo punto sarai libero di scegliere se recriminare sul passato, o se usarlo per il tuo futuro. In questo caso, non potrai più dare colpe a nessuno,  ma potrai finalmente iniziare a prenderti la responsabilità della tua vita. Di solito succede quando da figlio, diventi semplicemente un essere umano adulto. Allora magari potrai correre il rischio di essere felice, non per colpa di qualcuno, ma grazie a te stesso.

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