Cappuccio e Cornetto

Cappuccio e Cornetto

1/29/2015

Ciao, mamma. Parte 1.




Succedono tante cose. Sempre, dovunque, che tu lo voglia o no.
Poi succedono delle cose che cambiano la tua vita. Date che segnano fine e inizio di epoche.
Nella minuscola porzione di mondo che è la mia esistenza, la fine dell’anno scorso è stata uno di questi momenti.
Mia mamma, la sera di Capodanno, nel fragore di brindisi e fuochi di artificio, si è spenta nel sonno, in un letto di un ospedale olandese, dopo settimane di lotta, in una escalation improvvisa, con una figlia appesa al telefono ed un nipote accanto a lei.
L’avevo vista il giorno prima, il pomeriggio prima. Lucida abbastanza, stanca molto, debole moltissimo. Le avevamo portato, io e mio marito, un vaso di giacinti con la scritta Happy New Year e una bottiglia di champagne di plastica, per allietarle la serata che noi avremmo trascorso di nuovo in Italia, dalle Gnome con varicella e virus vari. L’avevo vista, e non pensavo, né io né i medici, che sarebbe stata l’ultima volta.
Penso che abbia aspettato di vedermi uscire per iniziare a mollare il colpo, la presa su quella vita complessa, ambigua e in ogni caso piena di affetto che aveva condotto. Penso fosse felice di sapermi con mio marito, mentre uscivo. Perché non si sentiva indispensabile per me, cosa per lei estremamente faticosa. Ha iniziato a peggiorare la sera stessa, il mattino dopo l’hanno portata in ospedale dal centro di cura in cui era. L’ho risentita nel pomeriggio, per dirle di star tranquilla, che sapevo dov’era e di pensare solo a rimettersi in forze, come nelle settimane precedenti, in cui in ospedale l’hanno analizzata mille volte per capire cosa la rendesse così debole, quale parte di quella malattia impietosa che è il tumore le togliesse la forza di alzare anche solo un braccio per tenere il telefono. “Ciao, tesoro”, sono le ultime parole che mi ha detto.

E ora che non posso più sentire la sua voce, solo a ripensare a quella frase mi vengono le lacrime agli occhi.


Ci metterò tantissimo a scrivere di questo ultimo mese con lei, perché mi devo fermare in continuazione, sopraffatta dall’emozione. Ma devo farlo. Per tirare fuori, e per non dimenticare. Ché questa è la paura più grande. Dimenticare: la sua voce, le sue espressioni del viso, il peso e il calore della sua mano. Quindi scrivo, per rileggere poi quando ne avrò bisogno. Perché sicuramente ne avrò bisogno.






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